Questo intervento avrei dovuto scriverlo verso Maggio. Doveva, e continuerà, a trattare di fantasmi. Non quelli per cui vengono ingaggiati dai GhostBusters, ma quelle persone che comunque hanno significato qualcosa nella nostra vita e che continuano ad apparire dopo essere spariti dalla nostra vita.
Dovevo scriverlo a Maggio, in un periodo in cui ho creduto di essere riuscito ad eliminare uno.
E per un motivo molto valido non l’ho scritto, perché proprio mentre scrivevo la bozza su un foglio si è ripresentato il fantasma contornato dalla propria luminescenza.
Sono passati 6 mesi dal giorno in cui avrei dovuto pubblicarlo. E in 180 giorni le cose cambiano completamente, radicalmente. Ho accanto a me il foglio di quando quella mattina all’università in un attacco di ispirazione iniziai a scrivere quello che pensavo sui fantasmi. Parlando dei miei vecchi fantasmi e come li ho affrontati. Cercando di trovare la connessione logica fra mente e cuore che portasse alla creazione di questi spiriti informi che attraversano ogni strano che noi poniamo a copertura.
Prima pensavo che i fantasmi fossero la spettralizzazione della speranza. Avevo immaginato che fossero come delle piccole banche a cui avevamo depositato parte della nostra felicità nella speranza che questi fantasmi tornassero con gli interessi. La loro “presenza-assenza” fosse quindi l’idealizzazione della felicità perduta. Ed essendo il fantasma unico appiglio di felicità ho pensato che la rimaterializzazione del fantasma portasse alla felicità stessa. E che quindi il fantasma scomparisse nell’esatto istante in cui la persona tornasse realmente felice.
É tornata una persona nel periodo precedente a questo in cui vi scrivo. Un fantasma. Anzi IL fantasma. Un fantasma un po’ particolare che è stato riesumato, resuscitato e che ha deciso nuovamente di divenire fantasma. E nel far ciò questo fantasma ha cambiato la mia conoscenza e la mia idea riguardo i fantasmi, proprio perché ho avuto modo di capire come funzionassero, forse non in generale ma almeno con la mia persona.
Se ricordate ho scritto riguardo i Porcospini di Schopenhauer e della legge di scambio di calore fra essi. Quando un riccio si allontana dal suo partner non ha più calore a sufficiente per stare bene e inizia a sentire freddo. E allora ritorna dal porcospino da cui si era allontanato per ricominciare a riscaldarsi.
Ora poniamo l’ipotesi che i porcospini per un motivo qualunque si allontanino volontariamente.
Litigano, uno dei due deve partire per una terra lontana o per tutte le decine di motivi che vi possano venire in mente mentre leggete queste righe. Il porcospino A (lo chiamiamo A? Aggiudicato A) se ne va, ripeto non importa per quale motivo, ma se ne va. Il porcospino B (lo chiamo ovviamente B) abituato a ricevere una certa quantità di calore da A inizia a sentire freddo. E da allora inizia a pensare a quanto fosse utile il calore del suo porcospino e di quanto fosse bello quel tepore, a come la facesse sentire completa nel suo mondo imperfetto (non so perché ma mi sto immaginando B come femmina. Può benissimo essere l’opposto). Quella mancanza di calore a cui era abituata genera in lei il fantasma del “il suo era meglio di qualunque altro”.
Dostoevski diceva: “Quanto più siamo infelici, tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri; il sentimento non si frantuma, ma si concentra.”
Freud chiama questo processo “idealizzazione”, cioè quella tendenza che falsa il giudizio, dove l’Io, la proiezione psichica di se, diventa sempre meno esigente, più umile, mentre l’oggetto sempre più magnifico, più prezioso. Freud afferma che “può arrivare fino ad impossessarsi da ultimo dell’intero amore che l’Io ha per sé, di modo che, quale conseguenza naturale, si ha l’autosacrificio dell’Io. L’oggetto ha per così divorato l’Io.” [Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921)]
Oltre questa fase di idealizzazione si può incorrere nella fase “per mia colpa mia colpa, mia grandissima colpa.”, nell’idea che il porcospino se ne sia andato via per qualcosa che gli è fatto di male e il lasciato se ne assume tutta la colpa.
Quindi il fantasma non solo va a falsare il giudizio, ma va fa sentire il soggetto sia vittima che carnefice della situazione, peggiorando maggiormente la abnegazione dell’Io.
Ora poniamo l’ipotesi che invece ad allontanarsi sia , nel caso che A sia un porcospino in equilibrio. Può capitare che per quanto A stia bene con se stesso, essendo autosufficiente, o addirittura in eccesso di energia, si abitui a questa cessione di calore. Si abitua a cedere calore, e a riceverne.
Passando dalla termodinamica all’idraulica spicciola: è un po’ come se fosse abituato a tenere un rubinetto sempre aperto, indipendentemente dal fatto che qualcuno metta sotto un bicchiere per abbeverarsi o per usufruirne. Perché sa che questa energia poi ritorna, e sa che chi poi ne usufruisce rimette quest’acqua dentro.
Sta così bene come se che il suo unico interesse sia quello di dare, perché nel momento in cui da riceve. Non voglio fare una discussione se questa sia o meno la massima concezione dell’egoismo e dell’egocentrismo o dell’altruismo. Ma pensate. Semplicemente pensate a questo porcospino che è arrivato ad un punto tale che lui è sempre in equilibrio. Riceve, dona in un modo oramai molto stabile, continuo e costante. É talmente abituato sia a dare che a ricevere che quella mancanza nel non dare divenga un problema, poiché egli stesso in qualche modo non riceve.
E’ come se imponessimo immediatamente che ingresso e uscita diventino una cosa sola. Prendete (NO. Non fatelo sul serio) una cavo elettrico e chiudete il circuito su una presa. Cosa accade? Che per quanto il prodotto Intensità-Resistenza sia costante la presa si fotte (e con essa probabilmetne tutta casa), perché chiudendo il circuito abbiamo annullato ogni resistenza, portando ad infinito l’intensità e distruggendo tutto il sistema creato.
Abbiamo creato un corto circuito, un sovraccarico, abbiamo distrutto la presa nonostante l’energia sia rimasta sempre la stessa. Al porcospino A nonostante non senta realmente freddo, sta male. Gli manca il porcospino a cui dava questa energia, Si genera il fantasma del calore non ceduto, del fantasma che genera sovraccarico.
Quelli che riescono a creare il 100% del loro fabbisogno hanno un problema di fondo. Difficilmente scambiano la loro energia con altre persone. Sono arrivati ad un punto che quando stanno con una persona lo fanno solo perché sanno che quella persona può farli stare solo meglio di come stanno. Se la sentono cucita addosso. Quindi difficilmente potrà trovare nuovamente il porcospino a cui vorrà scambiare calore. E dovrà in tutto questo abituarsi a dover dare solo calore a se stesso prima di poter nuovamente dare calore a qualcuno (è come se dovesse rimettere a posto il circuito o la tubatura)
Con porcospini del genere bisogna non bisogna allontanarsi di colpo. Ne soffrono pesantemente.
Preferiscono una lento e progressivo allontanamento. Hanno bisogno di chiudere i rubinetti e risistemarsi.
Un po’ come accade (non a caso) nella termodinamica. Se realizziamo una trasformazione finita mediante una successione di trasformazioni infinitesime (cioè piccolissime, ridottissime) otteniamo una cosiddetta trasformazione quasi statica: essa è caratterizzata dal fatto che, in ogni istante, il sistema si trova, a meno di infinitesimi, in condizione di equilibrio termodinamico. Si passa per stati infiniti di equilibrio che permettono di cambiare senza strappi, senza generazione di entropia, senza cortocircuiti.
Io nella mia vita ho avuto 4 ragazze che si sono allontanate di colpo della mia vita.
E categoricamente i loro fantasmi si sono presentati alla mia porta.
Con una trasformazione quasi statica si evita di generare entropia. Non si genera caos.
Con un allontanamento quasi statico si evita di generare fantasmi. Si evitano un sacco di problematiche e soprattutto spesso le relazioni che gravitavano intorno a quel rapporto si possono mantenere. Io personalmente mi sento con la maggior parte delle mie ex. Ci esco ogni tanto per un caffè, un aperitivo, chattiamo, ci sentiamo. Non lo facciamo perché vogliamo tornare insieme, o per farci del male. Ma per sentirci, per non pensare che il nostro rapporto e i nostri ricordi debbano andare buttati per degli stupidi errori di valutazione. Ci siamo allontanati progressivamente e siamo riusciti in tanti casi a mantenere un bel rapporto di amicizia, che è sicuramente meglio di dire in giro “è una troia” o “l’hai piccolo” (per quanto apprezzi la genialità della ragazza che ha scritto con la vernice “ti ho fatto le corna prima io” sulla macchina del suo ex proprio sotto casa mia).
Trattandolo in termini scientifici ho collegato che il processo di idealizzazione è dovuto all’astinenza della feniletilammina. La “droga dell’amore”. La sua presenza e la sua assenza condiziona i comportamenti della persona. Infatti, quando una persona sia allontana da noi la sua mancanza lascia anche un vuoto “affettivo” e “abitudinario” tale da farci stare male, da distruggerci se non riusciamo a controllare questa astinenza.
Se il vuoto affettivo può essere colmato dalle amicizie, quello abitudinario (come abbiamo appena visto) è quello pericoloso.
Perché per quanto la nostra mente viaggi, tenti di dimenticare, l’abitudine di pensare alla persona amata ci ripete costantemente: “apprezzerebbe davvero questa cosa”- “ah che bello se fosse qui”. E d è in questi termini che i fantasmi ci fanno del male. Sono queste le loro apparizioni eteree nella nostra mente. Si è talmente abituati ad assumere la droga amorosa che per riaverla si perdono, annegano il proprio io. E ne conosco persone che si sono perse. Che non sono riuscite a ricominciare dopo che sono state traumatizzate dalla perdita delle persona amata. Che hanno rifiutato la cura ogni cura che potesse portarla a ritrovare il proprio io e cancellare il fantasma che la perseguita. Ma spesso si incorre nell’errore di credere che ogni via sia sbagliata poiché la prima era sbagliata. E non c’è niente di più sbagliato. Io per mia sfortuna posseggo ancora qualche fantasma che saltuariamente esce dall’armadio e mi ricorda cosa ho sbagliato nella vita. Ma ho imparato che se anche sono caduto nell’abisso, per quanto le acque siano profonde e scure, ciò che fa annegare non è l’immersione, ma il fatto di rimanere sott’acqua.